MARIANGELA GUALTIERISento il tuo disordine e lo comparo al mio.C’è somiglianza. C’è lo stesso slabbro di ferite identiche. C’è tutta la voglia di un passo largo in una terra sgombra che non troviamo.
Storia
di
Cristian
Dondola dondola. Ma il suo sguardo sembra quasi immobile. Nessuno riesce a capire cosa pensi quando è così, seduto sull’altalena con le gambe a penzoloni, gli occhi semi chiusie le labbra arricciate.
Da qui sembra quasi riuscire a contare ad una ad una le foglie del prato inverdito dalla bella stagione, dove di qui e lì sbucano i fiorellini di campo, tutti diversi tra loro, unici, che, sfidando la natura, sembrano ribadire il loro carattere speciale.
La matematica era stata sempre una sua grande passione, di quelle che diventano ossessione. Le parentesi quadre, tonde e graffe uscivano dalla biro come schizzi d’autore, i numeri si accavallavano uno dopo l’altro; e così fu alcuni anni dopo con le brevi e semibrevi, e poi con le crome e le chiavi di violino prima, di basso dopo.Musica e matematica, matematica e musica: un universo fatto di melodie spesso incomprensibili capaci di spaziare dalle note apparentemente stonate del jazz a quei sound metropolitani un po’ urbani di chi, ormai bravissimo a replicare i vasti repertori di musica classica, sperimenta e si sperimenta con altri suoni, alla ricerca di quelli in accordo con la propria anima. Cristian era capace di stare lì ore ed ore a quel piano, ma a volte saltellava come una cavalletta impazzita dal piano al violino, e poi alla batteria, l’ultima new entries in quegli ottanta metri quadri, che facevano da cornice alle nostre vite da venti anni. Il ricordo torna indietro di circa dieci anni, quando per il suo decimo compleanno Cristian trovò in casa il suo primo pianoforte. Avevamo fatto fuori la vetrinetta di cristallo per farvi spazio, e Cristian quando lo vide sembrò apprezzare di non averla tra i piedi, grazie a quello che divenne ben presto il compagno di lunghi pomeriggi.Con la stessa maniacale precisione con cui teneva in ordine i suoi libri di musica, gli spartiti e la sua collezione di lattine cangianti che auguravano la buonanotte in tutte le lingue, così Cristian si dedicava ad apparecchiare la tavola alla sera. Era stato il suo compito da sempre, e vi si concedeva con dedizione, esibendo anche un po’ di creatività che esprimeva scegliendo come centrotavola, un oggetto della casa, sempre diverso. Una volta ricordo che mise il ferro da stiro inaugurando la cena esclamando: che i vostri pensieri si stendano come lenzuola appena stirate. Buon appetito!Già; i pensieri, affascinanti e intollerabili, fonte di mirabili evoluzioni mentali e allo stesso tempo pesanti croci che ti lasciano a volte esterrefatto, a volte frastornato, che trasformano la tollerabilità umana in agonia. La facoltà del pensare, quella che i più danno per scontata, sempre a loro disposizione e inscalfibile, quell’attività psichica mediante la quale uomini e donne acquistano coscienza di loro stessi e della realtàin cui sono calati, proprio quella facoltà per noi si sgretolò in una tarda primavera di tre anni prima, come i pupazzetti di sabbia modellabile con cui prendevano forma i suoi originali compagni di avventura. Ricordo che lo spiavo quando era piccolo, incuriosito da quale sarebbero stati i suoi scenari avventurosi e poi aspettavo paziente che mi chiamasse al termine, orgoglioso di mostrarmi quanto aveva creato.Un giorno i pensieri di Cristian si fecero insoliti e confusi, disorganizzati e sospettosi, e presto a loro si affiancarono innaturali e, per noi sempre meno comprensibili, desideri di stare da solo. Le settimane in solitaria iniziavano a sommarsi una dopo l’altra e noi ci sentivamo frustrati, soli e impreparati, dal momento che con i nostri mezzi, armi spuntate contro un nemico ricco di tranelli, non riuscivamo a tradurre quello che si agitava nella sua mente. Pian piano imparammo con gli anni, con un aiuto assiduo e un’indomita disciplina a saper leggere, sempre troppo poco, la gestualità ridotta, l’espressività del suo viso cambiare, i passaggi frenetici e poi immobili di un eloquio foriero di genio e felicità, quando applicato agli amori della sua vita, la matematica e la musica; dubbiosi e tormentati, invece, quando le energie mentali si incanalavano in deliri paurosi e infiniti. Ricordo i medici che parlavano di una recovery il più ampia possibile, di buone possibilità di intervento, grazie al fatto di avere individuato i suoi curiosi atteggiamenti non in tarda età, e ricordo me stesso pensare che recovery, mi sembrava una brutta parola, dato che in italiano echeggiava a ricovero. Il mistero mi fu svelato dalla psicologa dell’equipe multidisciplinare, che prese Cristian in carico e con lui le paure i dubbi e lo sconcerto di noi altri, e che lesse nella mia incapacità di far domande, il terrore di conoscere il significato delle risposte. Recovery, invece, acquistava dopo quel suo ascolto di silenzi e paure, la frontiera da conquistare a lungo termine, il recupero del funzionamento individuale e sociale di Cristian, il ritorno alla normalità. La musicoterapia iniziò a trovare in lui uno spazio da ricaricare e riseminare, al fianco dei trattamenti farmacologici, dando un senso all’incedere del tempo e delle esperienze; e Cristian così divenne man mano un mentore per quanti frequentavano il centro diurno.Se un tempo recovery mi portava alla mente un presente e un futuro angosciante, poi, grazie all’aiuto di Alessandra che aveva avuto sempre un tempo per me, papà smarrito, a volte sfiduciato, ma un padre pur sempre fermo a combattere quella battaglia insieme a suo figlio, quella parola si tradusse in discovery, una vera e propria scoperta del nuovo mondo di Cristian, ma soprattutto degli infiniti itinerari che mi sarebbe stato possibile percorrere con lui, dentro di lui, dentro di me.
Le nostre giornate restano piene di impegni tra lavoro e casa, e i pomeriggi al campo di calcio con Francesco, che pur di sfuggire alle versioni di latino e greco del ginnasio era pronto a fare anche doppi allenamenti. Per la sera si ripete il preciso rituale, che Cristian continua ad interpretare al meglio: un oggetto al centro, i nostri occhi smarriti e la sua chiosa che non tarda ad arrivare. Ormai abituati, sappiamo che un solo debole cenno di un sorriso può causare una crisi aggressiva o una valanga di pensieri sconnessi, che un tempo avrebbero ibernato ogni singolo movimento del nostro volto. Una ritualità quella dell’oggetto centro-tavola che come un totem ci auguriamo ci salvi, prima o poi; ci salvi tutti dal cambiamento e dall’incertezza. Ormai abituati, sappiamo che un grazie, un semplice grazie, a inizio cena, può bastare a Cristian, che così prevede vadano le cose, sera dopo sera.Come Crono, nipote di Caos, Cristian sembrava aver rintracciato una sorta di memoria genetica del disordine al quale si oppone interpretando la versione greca del titano del tempo che lo conduce verso le sue passioni per la musica e la matematica; e dall’altro, quella romana del titano del tempo, ovvero Saturno, pianeta sul quale sembra migrare quando si allontana con i suoi pensieri. A differenza di Crono, però, che scacciò i fratelli Ciclopi, confinandoli nel Tartaro, Cristian, giorno per giorno, sa bene quante insidie, spesso dolorose, gli provochino i suoi fratelli, i suoi fraterni pensieri; ma Cristian con i suoi pensieri a volte sconnessi, cerca di muoversi un passo dietro loro, quasi a volerli tenere a bada, convinto che come Crono, la sua battaglia quotidiana lo possa far diventare Re dell’Isola dei Beati, dove sono destinati gli eroi che hanno lottato con sagacia, estremo vigore, indefessa attitudine; sull’isola, finalmente lì, eroi felici e liberi dagli affanni.
io sono Crono
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