EMILY DICKINSONL’acqua è segnata dalla sete. La terra, dagli oceani traversati. La gioia, dal dolore. La pace, dai racconti di battaglia. L’amore da un’impronta di memoria. Gli uccelli, dalla neve.

Storia

di

Ginevra

Qualche passo ancora, nonna. Sei quasi arrivata! Dai, brava così. Inconfondibile e squillante la voce di Gioia, elettrizzata e galvanizzante, come quella di ogni bambino pronto alla gita domenicale, inondava il silenzio di quella collina soleggiata e fino a quel momento silenziosa. La scelta della meta nel mese di maggio era caduta sul Castello di Mercato San Severino.
Nonna e nipote iniziarono la loro passeggiata attraverso la storia ed il tempo. Attraversarono accaldate ed emozionate quella che secoli prima era stata la cosiddetta Piazza d’Armi per le parate militari nell’anno 1000, oggi estensione di verde primaverile, con qualche macchia di fiorellini lilla qua e là e due gatti sornioni, che riposavano al sole.
La voce di Gioia riferiva con toni energici, quanto aveva imparato a scuola con la maestra; per nulla doma proseguiva a raccontare della grande grata che veniva calata per chiudere e proteggere l’ingresso del castello, della cisterna che più di mille anni dopo, adempiva al suo compito di raccolta dell’acqua, delle finestre, antichi squarci nella roccia, dai quali i soldati scrutavano i movimenti di potenziali nemici.Ciò che la entusiasmava di più, però, era la cappella, dove un tempo era passato anche Tommaso d’Aquino e per lei, con una mamma nata e cresciuta a Fornace, piccola frazione della città del Santo, con soli ventidue abitanti, era una sicura occasione di vanto. Meno di un’oretta di passeggiata piacevole, su e giù per i gradoni di pietra, tra i ciuffi di erba cresciuti in maniera omogenea nei secoli, il primo sole che riscaldava viso e spalle dopo un inverno piovoso, ed eccole arrivate all’area picnic, che accoglie le risa festose degli ospiti del Castello. Gioia continua a parlare e raccontare agli avventori al loro stesso tavolo di cavalieri, reliquie e Longobardi e la nonna la guarda ammirata e ad un tratto improvvisamente assalita da un mix di sentimenti, come da anni non le succedeva più. Le si fanno incontro emozioni contrastanti, pensieri confusi e un po’ tristi misti a imprecisi sensazioni di pace. La combinazione di suoni e odori di quel paesaggio e l’incanto per la vitalità di questa nipotina, la riportano indietro nel tempo, ad una fotografia di molti anni prima, quando in quello stesso luogo, in un’ala del castello, a tenere la mano, di sua figlia Ginevra, una bambina di quarta elementare, vivace ed affettuosa, al suo posto c’era la maestra Pupetta, una minuta signora, dai capelli bianchi con un sorriso contagioso. Ginevra, la mamma di Gioia, era stata una bimba con vissuti di inadeguatezza, scarsa fiducia nelle proprie possibilità, incomprensioni scolastiche e attriti in famiglia per la sua poca organizzazione e scarsa autonomia nello studio, per quegli errori di comprensione e di accuratezza nel leggere e scrivere.Il momento dei compiti era divenuto da subito un momento spaventoso e di avvilimento per tutti i protagonisti; e le ripercussioni sull’ambiente familiare erano arrivate subito dopo. Mamma e papà litigavano ogni sera per quella bimba che non si applicava e poteva dare di più, perché non era certo stupida, urlava stanca e afflitta la mamma al papà, che non comprendeva come fare i compiti potesse diventare un periodo così penoso.I primi due anni di scuola primaria erano stati faticosi e dolorosi sia per Gilda che per Ginevra, pieni di incomprensioni e frasi del tipo: dopo averle spiegato cosa deve fare, resta seduta con sguardo fisso a guardare il foglio; o ancora: non è per niente motivata e niente la motiva!Espressioni dure come queste Ginevra se ne era sentite dire tante e per tanto tempo, da insegnanti non ancora allenati a tradurre i sintomi di un disagio scolastico, genitori impreparati e maestri del dopo scuola non formati, restando pensierosa ad osservare adulti, che mostravano grandi difficoltà a capire i suoi mutismi, i suoi problemi di condotta e ascoltare le parole sulla sua continua stanchezza. La maestra Pupetta ebbe il merito di osservare con amore, di chiedere il supporto di un dirigente scolastico attento, che attivò i canali del sociale e di spiegare ed interpretare con pazienza alla famiglia quei comportamenti che erano stati per lei, segnali di un disagio, per tutti gli altri, sofferenza e giudizio. Con semplici provvedimenti di modifica della didattica e momenti dedicati alla valutazione orientati al bambino, oggi diventati cardini delle linee guida nazionali per tali disturbi, la maestra accolse e diede una restituzione alla paura di Ginevra e alla frustrazione della sua mamma. Come ebbe a dire anche la neuropsichiatra infantile al centro, tra i primi sorti trent’anni fa, che Ginevra frequentò dalla quarta elementare in poi, per recuperare competenze e maggiore stima in se stessa, i bambini e le bambine con un qualche disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) non possono da soli o con la sola forza di volontà crearsi l’opportunità di sforzarsi di più ed attivare una maggiore attenzione al compito, perché non si tratta di volontà o impegno, di motivazione o proattività; il loro è un disturbo di origine biologica ed hanno necessariamente bisogno di chiedere e ricevere aiuto per fare ognuna di queste cose. Come un oracolo provvidenziale questi dettami scandirono allenamenti ed esercitazioni a scuola, a casa e al Centro per molti anni della vita di Ginevra e di altri bambini come lei, che sono cresciuti e sebbene, abbiano avuto periodi di vita in salita, hanno imparato anche da adulti, e anche sul lavoro, a governare con piccoli preziosi strumenti, gli audiolibri, le mappe concettuali, le complessità dei sintomi. Il merito di un’attenzione che cura, e di una dedizione quella di Pupetta, all’educazione dei piccoli e all’insegnamento degli allievi, ha permesso ad una famiglia e, in primis ad una bambina, come tante altre, di sfruttare una chance di crescita, che non fosse quella di venire colpevolizzata per scarso impegno e volontà, di continuare a vivere in classe come a casa, momenti di demotivazione e frustrazione, fino all’abbandono scolastico e ai graffi profondi nei rapporti genitori figli.
Ginevra, brillante e luminosa come la titanide Febe dalla corona d’oro, fondatrice dell’Oracolo di Delfi, secondo il mito, fende il buio della non conoscenza e della non consapevolezza e come scrive Esiodo nella Teogonia, con la sua luce germina affinché un nuovo futuro possa prendere forma. E Ginevra ha costruito il suo futuro ed oggi è pronta a sostenere se stessa e la piccola Gioia nella crescita.Ella è diventata la donna, che può a sua figlia dare risposte empatiche e amorevoli, a partire da quelle ricevute da bambina, che hanno segnato il cambio di corso, quando ascolto e competenza si sono incontrate in una maestra. Ginevra ormai adulta, perdona la non conoscenza di ieri in chi, come genitori e insegnanti, a suo tempo, non ha capito, si è spaventato ed ha chiuso, orecchie e mente a ciò che appariva diverso, ma oggi come faro, come un vero e proprio oracolo, è fonte di ispirazione per se stessa e la sua bambina, costruendo con una luce riconquistata, condizioni più favorevoli attraverso le quali trasformare, con le proprie azioni, nuove menti e nuove coscienze. Ginevra con la forza titanica di Febe, incede fiera portando in alto il significato di quell’ascolto ed accoglienza attivi, che diventano per dono dell’attenzione salvifica nei confronti di ogni essere umano e consacrazione così di un mito sempiterno.

io sono Febe