FRANCO ARMINIO
Punta sulle nuvole sugli alberi e su altre cose mute, non tue, non vicine, non addestrate a compiacerti, punta sulla luce, cercala sempre, infine punta sulla tua follia, se ce l’hai, se non te l’hanno rubata da piccolo.

Storia

di

Leonardo

Anche se è notte l’oscurità non è mai totale. Leonardo continuava a ripetersi nella mente questa e nove altre frasi utili che il suo maestro di fotografia, gli aveva raccomandato durante le lezioni del sabato. Non era facile in città cercare luoghi panoramici non sconvolti dall’inquinamento luminoso, eppure anche quella sera era uscito con la sua reflex nera, lunghezza focale 18-55 mm, alla ricerca dello scatto che emoziona.
Evita le sorgenti di luce chiara vicino al tuo obiettivo; tieni in considerazione i giochi di luce che vuoi ci siano nello scatto; evita le funzioni automatiche; imposta tutto manualmente, si diceva, parlando tra sé e sé, e poi c’era altro di sicuro. Come era fastidioso non ricordare bene, e tutto.
L’amore per la fotografia era l’eredità lasciatagli da mamma Raffaella sedici anni prima, insieme ad una casetta di ottanta metri quadri da dividere insieme alla nonna Ninetta e ai suoi tre gatti; anche da lei scappava Leonardo quando usciva la sera e tornava tardi, a passeggiare per quei sentieri, che aveva percorso da bambino.
Raffaella non aveva avuto di certo una macchina fotografica così, che invece Leonardo si era potuto permettere dal momento che a ventisei anni lavora già da poco più di sette, ma era grazie a lei che un maschietto vivace e smilzo, aveva affinato il gusto per la bellezza della montagna e la sensibilità per la fotografia paesaggistica. Raffaella amava raccontargli con tante brevi storie serali che la passione per i processi meccanici ed ottici, lui, il suo adorato Leonardo l’aveva avuta in dono dal padre; ma col tempo, dopo la sua morte, complice anche Ninetta, che poco aveva amato quell’uomo alto, bellissimo e scostante, che entrava e usciva di prigione, Leonardo, aveva a sue spese imparato che quei racconti tanto perfetti e appaganti erano il frutto di un abbellimento voluto, delle vicende della sua famiglia, e che il suo papà non era fuori per reportage e premi, e che quando tornava a casa non era stanco ed insofferente per le numerose persone incontrate nei suoi documentari, come mamma Raffaella gli aveva raccontato. Anche qui non tutti i pensieri erano nitidi; a Leonardo sembrava di perdere enormi pezzi di vita; c’erano giorni in cui, scena dopo scena, i ricordi e le immagini nella sua testa, si confondevano tra un decennio e l’altro di vita. La sua autosufficienza non è in discussione, ma un percorso di riabilitazione è necessario perché le sue abilità cognitive e sensoriali rimarranno in parte compromesse, aveva sentenziato il medico, un giorno. Leonardo, infatti, non lavorava più vicino all’ultima fresa ad alta velocità, dotata di eliche a 45°, capace di alte prestazioni sulle leghe di alluminio e materiali teneri. Una mattina aveva perso conoscenza dopo una spaventosa caduta da quattro metri, che aveva lasciato immobile lui e il povero Tito che lo aveva per primo assistito. La telefonata al 118, meno precisa e più emotiva di quello che gli avevano insegnato al corso di primo intervento, fatto in azienda nove mesi prima. Più volte l’operatrice era stata costretta a chiedergli con un tono risoluto ma caloroso, dove era avvenuto con esattezza l’incidente: il comune, la via e il numero civico. Tito continuava a ripetere la via in cui si trovava, ma non il nome del comune in cui i due lavoravano da più di cinque anni. L’operatrice con voce cadenzata, andava avanti nella sua ricerca di informazioni utili, ricordando un paio di volte a Tito di mantenere la calma e la concentrazione. Una volta che tutte le informazioni furono raccolte finalmente Tito si sentì dire: l’equipaggio di un’ambulanza medicalizzata è stato allertato e arriverà al vostro indirizzo in pochi minuti. L’ambulanza entrò.
Il suo arrivo fu effettivamente rapido, si trovò a pensare Tito, e al telefono con animo ancora concitato, ma più sollevato urlò che erano arrivati i soccorsi. Rimise giù in tutta fretta e solo dopo si accorse di non avere nemmeno ringraziato quella persona, che come lui quella mattina stava facendo il suo dovere e lo stava facendo bene. Leonardo all’arrivo di due soccorritori, un infermiere e un medico, era nuovamente cosciente, non si riusciva a muovere e pronunciava parole inappropriate e confuse, il che poteva sembrare ilare, se non fosse che questi comportamenti spaventarono da subito, anche Tito e tutti i non addetti ai lavori che, comprensibilmente, si erano radunati ad una certa distanza. Seguirono giorni con esami diagnostici ogni sei ore e controlli neurologici, farmaci e terapia intensiva. Alla fine Leonardo uscì dall’ospedale con le sue gambe, un ruoto di torta rustica preparato dalla moglie di Tito e una diagnosi di contusione cerebrale. Nei mesi successivi e per gli anni avvenire le emiparesi trattate in ospedale sarebbero perdurate, ma non si facevano notare molto; più fastidiose apparivano le crisi epilettiche parziali, che lo colpivano a tradimento e le amnesie retrograde, che non gli permettevano di ricordare con lucidità gli eventi precedenti all’incidente. Iniziò a frequentare il centro di Tramonti, che lo aiutava nella gestione delle crisi di rabbia e nella somministrazione della terapia farmacologica per tenere a bada l’epilessia. Il laboratorio di canto era il suo preferito, il maestro gli faceva continui complimenti per la sua estensione vocale e la frequentazione delle ore insieme agli altri degenti canterini alleggeriva e colorava di buon umore le sue mezze giornate, prima di tornare a casa da sua nonna e dalla sua reflex. A lui spettava ancora occuparsi di lei, dal fare la spesa al preparare la cena, e sebbene in alcune stagioni dell’anno fosse più difficile e fisicamente faticoso per lui, era fondamentale coccolare quella parte sana di famiglia che gli era rimasta. Il suo lavoro in officina era andato, le produzioni con la macchina fotografica erano risultate meno precise per i tremori alle mani; di pomeriggio si sentiva fiaccato e per poco meno di un anno soffrì di episodi depressivi, mangiava in maniera disordinata e saltuaria, non si lavava, stava a letto tutto il giorno. Erminio, però, il terapista occupazionale del Centro lo ancorò senza mai allentare la presa. Nei momenti più bui continuò a spronarlo e ad incoraggiarlo, e come il picchio rosso mezzano nelle foreste ad alto fusto, tambureggiava e supervisionava sulla volontà e sui progetti di Leonardo, più di qualche volta pronto
a mollare, con protocolli e ammonimenti da vero life coach.
Le attività di riabilitazione post-traumatica diminuirono al crescere della padronanza emotiva e fisica di Leonardo che, grazie al lavoro e alla cura delle persone del Centro, non permise agli eventi di ridimensionare la gioia di passeggiare ed osservare la natura, insistendo a ricostruire il suo progetto di vita, focalizzandosi non solo sulla riabilitazione, ma anche e soprattutto, sulla rieducazione sociale e lavorativa e supportando il maestro di canto con i nuovi pazienti. Come il titano Iperione, personificazione del sole, così anche Leonardo celebra il fluire della luce nelle metamorfosi della vita, che sommano l’illuminazione di un presente vissuto all’illuminazione altra di un presente successivo. Nonna Ninetta continua la sua vita partecipe dei ricordi di Leonardo e ignara beneficiaria delle cure di quel nipote che, nell’accudirla, non smarrisce la sua umanità di fronte alle fatiche e alla brutalità della vita e ritrova uno scopo diverso e complementare a quanto aveva immaginato per i suoi ventotto anni, amare chi ti ha amato e capovolgendo i ruoli, vigilare sugli orditi dei sentimenti familiari, entrambe fotografie senza tempo, ma con una meta in comune: l’amore offerto e l’amore custodito. Lo spirito di Iperione, che come ci tramanda la mitologia, fu il primo a capire, con diligente attenzione e osservazione, il movimento sia del Sole che della Luna e delle altre stelle, abita nell’agire insistente di Leonardo, che vive le tante notti oscure alla ricerca di quella fonte di illuminazione di Colui che sta in alto. È proprio cadendo da tanto in alto che Leonardo ha capito quanto in alto si possa guardare.

io sono Iperione