VIRGINIA WOOLF
Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.

Storia

di

Lucia

È un momento particolare. Non sai che domande farti e che risposte darti. Ma poi è lei a suggerirti le domande, quelle giuste. E a darti tutte le risposte. Ed è così da anni.
Lucia, così decidemmo di chiamarla quando per la prima volta i nostri occhi incrociarono i suoi, doveva chiamarsi Delia come la nonna materna, scomparsa solo un anno prima,
ma poi decidemmo per Lucia.
Quando al sesto mese ci dissero che sarebbe nata una bambina speciale, fu un colpo. A un tratto non eravamo tanto sicuri che noi fossimo altrettanto speciali.
All’altezza di esser speciali almeno per lei.
I giorni non passavano, le notti insonni, lunghe e immobili.
Le angosce, insopportabili.
E poi un’illuminazione: come un fascio di luce che ti abbaglia, intenso e deciso.
Lei sarebbe stata la nostra Lucia, in onore della Santa protettrice dei ciechi.
È ciechi ci sentivamo. Incapaci di credere che ce l’avremmo fatta. Increduli. Affannati.
Lei però, Lucia ci avrebbe guidato. Ci avrebbe dato la forza di veder oltre, oltre il possibile.
Improbabile forse, ma non impossibile.
Lucia vive ogni aspetto della vita con incontenibile emozione, i suoi sentimenti sono sempre più intensi di quello che noi crediamo lecito o dovuto; stringe rapporti interpersonali con chiunque le offra da parlare, con chiunque appaia ai suoi occhi una bella persona, e sono in tanti. È stata capace di scoprire bellezza e sprigionare resilienza anche tra le corsie dell’ospedale, cui ci siamo rivolti impauriti, ma consapevoli, per correggere il suo difetto del canale atrio-ventricolare. Su una parete dell’ospedale che a Lucia è sempre piaciuta molto, perché accoglieva e accoglie tuttora, le macchie colorate con la pittura a dita dei bambini ricoverati, leggevamo più volte al giorno una citazione, non mi sovviene più di chi: non vediamo le cose per come sono, ma le vediamo per come siamo. Quella frase letta passivamente per ore e giorni sapemmo interpretarla nella nostra vita solo molti anni dopo, spolverando tra i ricordi e le istantanee di cui Lucia è protagonista; la verità che ogni genitore scopre nella fatica e nelle lacrime, ovvero, che i bambini danno agli adulti forza nella fragilità, equilibrio nelle tempeste, coraggio nel terrore della perdita, pace nell’ineluttabilità degli eventi.
Il suo essere se stessa con l’unicità che la energizza tutta, ci ha educati col tempo a lottare con energia positiva e sguardo lucido; laddove noi vedevamo solo camici bianchi e stanze come profondi buchi neri insostenibili e terrorizzanti, spaventati dall’idea di altre operazioni e di ennesimi controlli, a lei riusciva ciò che per noi allora era impensabile, il non sentirsi sola, e al contempo il non farci sentire abbandonati e perseguitati dalla vita. Con le sue corse sui cavallucci a rotelle, messi a disposizioni dall’ospedale e con i clown-terapeuti instancabili lettori di quella favola con le avventure della scimmietta coraggiosa, noi ci aggrappammo e prendemmo in prestito la qualità del suo sguardo, fino a quando non fossimo stati noi capaci di essere, solo molti anni dopo, come lei, coraggiosa e risoluta, container di leggerezza e gentilezza per chi ci è accanto.
Lucia ha mantenuto la sua promessa.
Giorno per giorno ci ha restituito la vista, sorprendendo i nostri occhi.
Sorprendendoci sempre più forte.
Con il primo Mamma gridato quasi a voler difendere il suo gelato al pistacchio di cui è sempre stata ghiotta.
Con i primi passi, correndo verso di noi spinta dalla sabbia bruciante delle nostre estati sicule, nella splendida Siracusa, terra nativa della Santa nelle cui mani avevamo riposto tutte le nostre paure.
Lucia ha mantenuto la sua promessa. Sorprendendoci sempre più forte.
Con i lacrimoni del suo primo, forse, litigio con Martina la sua compagna di giochi all’asilo, e i suoi fiumi di lacrime più torridi delle sue scroscianti risate, con cui ha sempre conquistato tutti.
Ci ha sorpreso sempre Lucia, che ci ha permesso di restare orfani di quella cieca ostinazione a controllare tutto, a governare tutto; a imbrigliare tutto.
Ha liberato le catene delle parole, sciolto le briglie delle emozioni, scoperchiato i più segreti pensieri.
Ci ha permesso di dimenticare il nostro vano interrogarci, le risposte mancate, incuriosendoci e distraendoci con nuovi perché.
Lucia è lei. Ed è così.
Lucia oggi ha un fidanzato. Matteo che sembra averle riempito lo sguardo, alla cui foce ci siamo sempre abbeverati noi, afflitti da una sete implacabile.
Dondolano in giardino mentre noi da lontano li guardiamo, cogliendo la magia delle mille lingue dell’amore. Ed è il loro amore a farci rotolare indietro di ventisette anni da quando innamorati e folli ci abbracciamo, dopo aver scoperto di essere in attesa di quel figlio tanto desiderato.
Un flashback potente nella memoria che con un balzo al cuore dopo ventisette anni, in un nano secondo, ci restituisce il senso di tutto questo.
Quando un senso, disperati nella nostra grettezza non eravamo capaci di trovarlo, ci sarebbe bastata questa immagine, delle gambe penzolanti sul dondolo in giardino, di due giovani innamorati che si scambiano tenere promesse d’amore.
Nella buia disperazione di quella notte di ventisette anni fa, ci sarebbe bastato questo.
Ci sarebbe bastato immaginarla cosi: felice!
Oggi Lucia è così: semplicemente felice.
Lavora con il suo instancabile sorriso, proprio accanto al suo Mattia, che ha conosciuto servendo il pranzo dietro il bancone della mensa. In realtà si conoscevano già; quasi dieci anni insieme al centro diurno, dove, come nella maggior parte delle storie d’amore al loro inizio, non si sopportavano per nulla. Lei intenta a sperimentarsi sempre in nuovi giochi con i compagni, presa dal laboratorio teatrale in cui divertirsi ad indossare delle maschere, sentirsi libera di essere qualcun altro almeno per un giorno. Lui, più riservato.
In compagnia dei suoi immancabili colori, specie quegli acquarello con cui era solito diluire le emozioni della vita.
Centinaia gli sguardi che Lucia incrocia ogni giorno e che riempie con il suo scintillante occhio magnetico ricolmo di vita. Sembra avere quelle misteriose doti taumaturgiche a cui i più spesso non credono; sembra essere capace di guarirti con un sorriso. Le sue parole risuonano forti e chiare come le campane la domenica richiamando i fedeli alla preghiera: Buongiorno!, dice, oggi abbiamo una profumatissima pasta e lenticchie!
Ma se vuoi un consiglio la lasagna è squisita. E ancora: oggi non la prendi la frutta?
Fa bene, è ricca di vitamine, e con questo caldo è anche dissetante. È felice Lucia, piena di energia e di voglia di vivere; e ha sempre un’opinione su tutto.
Come Teia, nella mitologia greca, sorella e moglie di Iperione, madre di Elio (dio del sole), Selene (dea della luna) ed Eos (dea dell’aurora), Lucia pare proprio aver introiettato tutte le forze luminose dell’universo, come sembra suggerire l’appellativo originario della titanide stessa: Eurifessa, usato negli antichi scritti per accentuarne magnificenza e splendore. Lucia come Teia invocata nell’antichità come dea dai molteplici nomi, è una musa ispiratrice, la luce che splende da lontano, come veniva cantata nei miti pre-ellenici. Lucia, come Teia dea della vista, possiede un potente e magmatico raggio emesso dagli occhi, che è stato capace di illuminare le vite di molti, ma di certo, in primis di Clara e Andrea, il cui sguardo smarrito ritrovò finalmente la strada perduta, in quel lontano 13 dicembre di 27 anni fa.

io sono Teia